04.24.2019

IL CAVALIERE.

No. Non è quello che pensate voi.
Qui non c’entra la politica o il gossip, che da sempre caratterizzano l’uomo di Arcore.

Di Cavaliere si tratta, ma Sannita.

Non l’austero guerriero che costrinse i romani all’umiliante giogo delle forche caudine, ma quello bonario e tuonante che in udienza riportava la tumultuante folla degli avvocati al silenzio battendo forti colpi della mano sul tavolo accompagnati da qualche frase urlata in modo poco british; anzi, in stile triggiaiuol (da triggio, antico quartiere beneventano, – il cui nome deriva dal romano trivium, incontro di tre strade –, particolarmente conosciuto per il colorito vernacolo dei suoi abitanti).

Deodato De Ieso, per tutti semplicemente “il Cavaliere”, è stato uno dei più noti personaggi che hanno calcato la scena del Tribunale di Benevento. Alto, robusto e un po’ rotondo, con una vocina stridula, quasi graffiante quando urlava (cioè, sempre), parlava un particolare slang partenopeo-sannita e sembrava essere uscito dalla fervida fantasia di Eduardo Scarpetta.

Cancelliere addetto al settore civile era preciso, al limite della pignoleria; teneva la sua stanza in perfetto ordine ed i fascicoli d’ufficio religiosamente riposti negli armadi, meticolosamente impilati negli spazi destinati alle rispettive udienze.

Dietro la sua scrivania campeggiavano, come reliquie, i poster dei calciatori del Napoli, con San Dieguito Maradona in primo piano, e nel portaombrelli la bandiera della squadra.

Nessuno poteva permettersi di toccarli o di scherzare, senza incorrere nella sanzione del rosso diretto con immediata espulsione dalla stanza. Nei casi più gravi, o di recidiva, si dovevano scontare diversi turni di squalifica, poi ridotti a seguito di scuse ripetute e dell’intercessione di qualche collega tifoso del Napoli.

Quando qualche calciatore del Napoli andava a giocare in un’altra squadra il Cavaliere apponeva immediatamente con pennarello indelebile una X sul viso del traditore nel poster raffigurante lo stesso, epitetandolo in malo modo se qualcuno di noi giovani avvocati infilava il dito nella piaga (“Cavaliè, però che giocatore si è fatto scappare il Napoli”). Specie poi se il malcapitato soccer player era passato alla Juventus. In quel caso si sfiorava la sceneggiata napoletana, con commenti incommentabili ed auguri irripetibili.

Anch’io, da sempre juventino, ero costretto a mentire, fingendomi tifoso napoletano, per avere accesso alla sua cancelleria ed alle notizie sulle cause, sulle udienze, sui fascicoli d’ufficio. Altrimenti sarebbe scattato il daspo a vita.

Era proprio l’udienza il palcoscenico dove il Cavaliere diventava l’assoluto protagonista.
Nel disordinato svolgimento dell’udienza civile, nella quale gli avvocati si accalcavano tentando di conquistare la scrivania del giudice e le loro voci si sovrapponevano in un insopportabile rumore, usciva fuori la sua poliedrica personalità. Tra urla gracchianti, sbattimenti di mani sulla scrivania, avvocati richiamati per cognomi, nomi, nomignoli e soprannomi, era come un direttore d’orchestra, novello Toscanini, che dirigeva la folla di indisciplinati strumentisti cercando di tirare fuori l’armonia da quella distonica confusione.

Ogni tanto partiva l’urlo. “Campese vieni qui, devi mettere il cicerone” (marca previdenziale, oggi abolita, che si apponeva nelle note di iscrizioni a ruolo e raffigurante Cicerone, da cui il nome gergale).

Se l’invito non era immediatamente raccolto, veniva ripetuto in tono più alto e con idioma più colorito, fino a sfociare quasi in una bonaria minaccia di sanzioni fisiche in un dialetto talmente stretto da sembrare una lingua straniera.

L’apice si raggiungeva a mezzogiorno, ora in cui il Cavaliere lanciava il suo grido più acuto con una precisione quasi svizzera. Tanto che molti avvocati controllavano gli orologi.

Ha da tempo lasciato il teatro del tribunale e della vita, ma mi piace pensare che lassù continui a dirigere l’udienza con il suo tono determinato e colorito, anche se … dato l’ambiente credo che certe espressioni non se le possa più permettere.

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